giovedì 26 febbraio 2015

Parla del '900

Il '900 è stato mia nonna, anzi mia nonna bisa come si dice a Bologna cioè la mamma della mamma di mia mamma.
Mia nonna è nata nel 1897 e morta a fine 2000: è sopravvissuta alle due grandi guerre e alla famosa epidemia di influenza “spagnola” del '18 che le lasciò giusto una lieve alopecia di cui lei non si curò mai usando sempre pettinini che sembravano stare su con lo sputo, visto che di capelli praticamente non ne aveva più.
La nonna Lavinia in realtà si chiamava Enrichetta; pare che Enrico e Lavinia fossero una coppia di conoscenti davvero sfigata, perciò in loro onore le venne dato un nome all'anagrafe e l'altro usato tutti i giorni, un po' come chiamarsi Romea ufficialmente e Giulietta per gli amici.
Da piccola viveva a Cadriano dove il padre faceva il mezzadro, alla domenica lo accompagnava sul carro a portare il latte in città alle famiglie ricche di via Castiglione; da ragazza poi batteva la canapa nei maceri con l'acqua fino alle ginocchia ma forse le fece bene perché non si lamentò mai di nessun dolore articolare.
Sposatasi si trasferì alla Bolognina che ai quei tempi era ancora tutta campagna, andava a messa la domenica e quando era ora di mettersi i vestiti estivi lo diceva il prete dal pulpito.
Non credo sia mai neanche stata a Roma, al massimo a Cereglio dove passò tutte le sue vacanze estive andando a funghi per i bricchi, al ritorno stipava la macchina di chi l'andava a recuperare di bottiglie d'acqua riempite alla famosa sorgente omonima e di tonnellate di zuccherotti montanari che, nei primi anni '70, sfamarono mio padre appena ventenne e i suoi amici in tutti i loro viaggi, visto che ne mangi uno e sei sazio per giorni.
Mia nonna quando l'ho conosciuta io aveva la pelle come carta vetrata, quello che le succedeva intorno non intaccava mai il suo aplomb e la sua ironia, però una ruga si aggiungeva sulla faccia, una macchia sulle mani o la schiena si incurvava di un altro po': è morta ad angolo retto.
La sua filosofia di vita è sempre stata “piutòst che gnint l'é méi piutòst” e con questa ha attraversato imperterrita le guerre, le crisi economiche e politiche, l'arrivo del riscaldamento in casa, del telefono e della lavatrice che nel '58 spodestò la bugaderi, ovvero lo stanzino in cortile dove si lavavano le lenzuola con la cenere in grossi tini.
Guardava sempre la televisione con aria diffidente e i programmi li commentava al massimo con un “ban mo da bon” o un “soccmel”.
Mia nonna è sempre stata socialista e fino ai cent'anni è voluta andare a votare, peccato che ogni anno in Italia si cambino nomi e simboli dei partiti, per un po' deve aver comunque trovato il garofano poi chissà che ha votato; si narra che una volta sia stata venti minuti in una cabina elettorale facendo credere a tutti di essere morta sulla scheda ma in realtà stava scrivendo a mano “partito socialista”.
Capiva l'italiano ma parlava rigorosamente dialetto e soprattutto rispondeva spesso con “aforismi” o “proverbi” di grande saggezza:
“Sai mamma che si è sposata la figlia della Gina?”
“A n'é un badilaz c'an eva al so mandgaz” (“ogni badile ha il suo manico”)
“Lavinia sai che la Maria è rimasta vedova?”
“Tòt i marì ién bòn, i arpezzan la laur piel con la tò” (Tutti i mariti sono buoni, rappezzano la loro pelle con la tua)
E quando mio nonno tuonava “Ines in tavola manca il sale” lei a bassa voce diceva:
“Pigrizia vut dal brod?” “Sì” “Vat la tour” “A in voi piò”
(Pigrizia vuoi del brodo? Sì. Vattelo a prendere. Non lo voglio più)
Una rivoluzione degli anni '80 che non le è mai andata giù però è stato l'avvento della dieta mediterranea e in particolare dell'uso dell'olio al posto del burro, questo sì che chiaramente l'indignava; “sai che l'Amedea condisce la pasta con l'olio?” diceva di sua nuora con tono schifato, chissà come commenterebbe oggi la dieta vegana.
A questo proposito, per i suoi 80 anni si era fatta regalare una batteria di tegami, di quelli belli antiaderenti con le linee aerodinamiche; qualcuno osò commentare che era un po' uno spreco e che non li avrebbe usati molto e lei si divertì poi a leggerne i necrologi sul Carlino, come si è sempre divertita ad affermare di aver seppellito non so quanti dei suoi medici di base.
Già ultranovantenne cadde da una sedia e si ruppe un braccio, mia mamma la portò al Pronto Soccorso del Maggiore, appena rinnovato: mentre mia nonna si guardava intorno nell'attesa dicendo “mo che bel sit”, il fiore all'occhiello della sanità emiliana andava in tilt perché l'avveniristico sistema computerizzato non concepiva 1897 come anno di nascita.
Alla fine degli anni '90, una delle ultime volte che mia mamma l'accompagnò in Certosa, dove in fondo mancava solo lei, uscendo la guardò e le disse: “E anc stavolta a san vgnù fòra”.

(Scuola elementare di letteratura russa - 2° compito)

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